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Sep 30 - Dec 31, 1999, Textilia Gallery
Feb 1 - 28, 2000,Beadlestone Gallery - New York

INDIA
COTTON RUGS OF THE COLONIAL PERIOD 1800-1947
In association with Doris Leslie Blau, New York

The 40 carpets on display come from all the regions of India and were woven during the colonial period (1800–1947). They draw inspiration from the women’s sari, from dance costumes and from golden brocades. The exhibition, divided into five sections, unwinds through the styles and symbologies of Indian cultures: “Cloud Carpets“, “Wind Carpets“, “Sand Carpets“, “Sun Carpets“ and “Palace Carpets“.


Radio Vaticana – FM 105 Intervista radiofonica in diretta nella Rubrica Culturale, December 18, 1999

Super 3 – Canale 29 Servizio a TG Arte, October 21, 1999

Telemarket – Canale 23 Servizio a TG Arte, October 8, 1999

Amica, December 8, 1999
I colori dell’India

Una rassegna di tappeti coloniali è visitabile a Roma presso la galleria Textilia fino al 31 dicembre. Sono 40 pezzi provenienti da Jaipur, leggendaria città rosa del Rajasthan, ma anche dalle regioni del Punjab, Kashmir, Uttar Pradesh e Ladakh. Motivi ispirati ai disegni dei costumi popolari; tinte naturali ottenute da melograni, curcuma, zafferano, henné.



Where Rome, October 1, 1999 , Cameron Barrett
Colonial carpets

All month, rug rats can go nuts at the Galleria Textilia where 40 colonial-period carpets (1800-1947) from India will be shown. Inspired by nature and made from cotton, the carpets have always played an important role in meditation and contemplation. Usually, a large medallion is in the center of the carpet, representing the cosmos and inside it is the path to divinity, the “Gateway to the Sun”.



Brava Casa, November 1, 1999 , Rita De Angelis
Antiquariato e dintorni

Appartengono al periodo coloniale (1800-1947) i tappeti indiani esposti sino a fine anno dalla Galleria Textilia di Roma (via Margutta 8) e caratterizzati da figurazioni simboliche (in vendita a partire da L.3.500.000).



Il Messaggero, October 15, 1999 , Vito Apuleo

Tappeti indiani. Quaranta tappeti provenienti dalle regioni del Rajasthan, Punjab, Kashmir, Uttar Pradesh, Ladakh formano il corpus della mostra India. Tappeti del periodo coloniale 1800-1947 (Galleria Textilia, via Margutta 8, fino al 31 dicembre). Ispirati ai sari delle donne, ai costumi delle danze e delle feste, ai broccati in oro tessuti a Benares, la raccolta si suggerisce come inedita occasione per il pubblico e per gli studiosi.



Il Tempo, October 7, 1999

TAPPETI. Quaranta tappeti provenienti da regioni indiane come il Punjab e il Kashmir formano la singolare esposizione allestita nei locali della galleria Textilia, via Margutta 8. La mostra, assolutamente inedita al pubblico, è suddivisa in cinque sezioni e si snoda attraverso i colori, gli stili e le simbologie delle culture indiane.



Il Giornale dell’Arte, October 1, 1999
Una grata tra terra e infinito

ROMA. A partire da ottobre la Galleria Textilia propone nella sua sede a via Margutta una mostra dal titolo “India. Tappeti del periodo coloniale 1800-1947” (fino al 31 dicembre) con una quarantina di tappeti inediti appartenenti alla collezione Doris Leslie Blau di New York e alla stessa galleria e provenienti da Rajasthan, Punjab, Kashmir, Uttar Pradesh, Ladakh. La mostra si articola in cinque sezioni: “Tappeti delle Nuvole”, “Tappeti del Vento”, “Tappeti della Sabbia”, “Tappeti del Sole” e “Palace Carpets”.



la Repubblica, October 1, 1999
India

La Galleria Textilia presenta da oggi al 31 dicembre un’esposizione di 40 tappeti del periodo coloniale (1800-1947) provenienti da regioni come il Rajasthan, il Punjab e il Kashmir. La mostra è suddivisa in cinque sezioni e si snoda attraverso colori, stili e simbologie. Da lunedì pomeriggio a sabato in via Margutta 8 con ingresso libero.



Ville & Casali, March 1, 2000 , Franca Severini
I colori e i simboli dell’India

Gauguin sosteneva: “Voi, pittori, che siete alla ricerca della tecnica del colore, studiate i tappeti e in essi troverete tutta la conoscenza”.
Questo mondo di colori è magnificamente presente nei tappeti indiani annodati in cotone del periodo coloniale che va dal 1800 al 1947, del tutto inediti per il pubblico occidentale e perciò di grande interesse antiquario e storico. La particolare atmosfera indiana emerge chiaramente in questi manufatti, con tutte le sue splendide tonalità: il colore delle città rosa del Rajastan, dei templi policromi del Sud, dei sari indossati dalle donne, dei costumi delle danze e delle feste; tanti colori ispirati alla ricchezza cromatica che la natura della jungla e delle montagne è capace di offrire. L’uso del cotone come materia prima da tessere è la principale ed originale caratteristica di questi rari manufatti, eseguiti dalla popolazione indiana durante la colonizzazione inglese e quindi preziosa testimonianza dell’arte e dello spirito di una cultura, che resisteva ai canoni estetici occidentali imposti dall’egemonia straniera. I tappeti venivano tessuti per le corti signorili e per i templi come supporto visivo alla meditazione e alla contemplazione, poiché erano considerati espressione della divinità. L’induismo afferma infatti, che la divinità è ovunque in natura, per cui l’artista, disegnando un fiore, un monte, un animale o un albero vi vede riflessa l’immagine di Dio. I colori che si ritrovano in questi tappeti richiamano l’intensità straordinaria della natura indiana come il verde delle risaie, il giallo delle calendule nei templi, il nero delle nuvole monsoniche che in estate si addensano sui territori aridi e sconfinati. E per ottenere simili colorazioni venivano utilizzate spezie e piante: per il giallo si usava la curcuma, per l’arancione si mischiava l’henné con le foglie di vite, mentre il rosa ed il rosso scarlatto si ottenevano dalla cocciniglia e dalla robbia. Per i bianchi ed i beige, invece, si utilizzava semplicemente il cotone naturale, materiale ritenuto nobile e pregiato in tutto il Paese. Le decorazioni presenti in questi tappeti sono caratterizzate generalmente da una moltiplicazione dei dettagli su tutta la superficie ed esprimono due stili principali: nell’India del nord prevale quello indostano riconoscibile dalla presenza di elementi islamici, mentre lo stile meridionale presenta caratteri più vicini alla cultura primitiva. In particolare, nei tappeti con decorazione indostana non è difficile riconoscere il motivo con dettagli o arabeschi ripetuti all’infinito. Questo ritmo continuo del decoro facilita la contemplazione ed è come un nastro senza inizio e senza fine. Né può averli, perché esprime la ricerca del divino, ossia di ciò che è veramente illimitato. Le sue caratteristiche di continuità e di ripetizione ben si adattano poi al tipico horror vacui dello spirito islamico, cioè la diffidenza e l’angoscia per gli spazi vuoti oppure occupati da pochi elementi ordinati rigorosamente. Simili tappeti hanno quotazioni che vanno dai quindici ai trenta milioni di lire. Lo stile del sud, invece, presenta decori più elementari, ma non meno profondi per significati e accostamento dei colori. Splendido il motivo detto a “medaglioni” che, in aggiunta alla particolarità dei colori, esprime un pensiero ultraterreno. Il medaglione, infatti, è il simbolo del cosmo e al suo interno contiene il passaggio per accedere alla divinità, chiamato “Porta del Sole”. Questo genere di tappeto ha sul mercato antiquario una quotazione di circa venti milioni di lire. Non meno mirabile è il tappeto con decoro detto a “fitte grate” con fiori o elementi stilizzati: questo particolare disegno simboleggia la divisione tra il mondo terreno e l’infinito, con la possibilità solo per i cosiddetti “Giusti” di varcare tali grate. E’quotato dieci milioni di lire. Questi tappeti sono dunque qualcosa in più di una piacevole e ricercata decorazione e rappresentano un valido investimento sia per l’assoluta novità nel campo dei tappeti d’antiquariato sia per i significati profondi che esprimono, a prescindere dalla particolare religione espressa. Le quotazioni sul mercato antiquario si mantengono per il momento stabili e variano dai cinque, sei milioni per quelli più semplici e di dimensioni ridotte, fino ai trenta, trentacinque milioni per i tappeti di grandi dimensioni con decorazioni elaborate. Da rilevare la buona conservazione di questi manufatti, grazie anche alla loro precisa e qualificata provenienza, elemento fondamentale ai fini di un eventuale acquisto.



Il Sole 24 Ore, December 19, 1999
Dal paese dei tappeti parlanti

I tappeti delle Nuvole e del Vento, della Sabbia e del Sole e, infine, i Palace Carpets: sono le cinque sezioni lungo le quali si snoda il percorso della mostra India – Tappeti del periodo coloniale 1800-1947, allestita fino al 30 dicembre a Roma, negli spazi espositivi della Galleria Textilia (via Margutta, 8). In vetrina sono 40 esemplari provenienti dalle regioni di Rajasthan e Punjab, Kashmir, Uttar Pradesh e Ladakh: lavori del tutto sconosciuti agli estimatori occidentali, che si ispirano ai colori dei sari femminili, ai costumi delle danze e delle feste, ai preziosi tessuti di Benares e rappresentano per gli studiosi l’occasione di conoscere importanti dettagli. Tinti con colori naturali, ottenuti da melograni, robbia, curcuma, zafferano, henné, i tappeti indiani furono per tradizione annodati in cotone, materiale pregiatissimo per il Paese, e impiegati per conferire un tocco di raffinatezza ai pur già sontuosissimi templi e alle corti signorili e la loro funzione è sempre stata strettamente collegata alla meditazione e alla contemplazione. Per solito, al centro del manufatto appare un fitto disegno a grata di fiori o di elementi stilizzati che intendono delimitare il confine tra il mondo terreno e l’infinito, oppure un grande medaglione raffigurante il cosmo che, con varie simbologie, racchiude al suo interno la via per arrivare alla Porta del Sole: l’induismo afferma che la divinità è dappertutto nella natura e dunque l’artista, disegnando un fiore, un monte, un animale o un albero vi vede riflessa l’immagine di un dio.